Whats In My Clothes ?

Oggi vi chiediamo #WhatsInMyClothes ? Che impatto ha quello che indossiamo sull’ambiente e sulla società?

L’attuale ritmo di produzione dell’industria della moda compromette il benessere dei lavoratori, delle comunità, degli animali e dell’ambiente. Vi elenchiamo alcuni dati sull’incidenza del settore moda sulla vita del nostro pianeta!

Emissioni di CO2 prodotte dall’industria della moda aumenteranno del 60% nei prossimi 12 anni, solo il trasporto dell’industria dei jeans produce il 13% delle emissioni annue totali di CO2.

L’acqua necessaria solo per la realizzazione di una T Shirt è 700 litri, pari al fabbisogno di acqua per tre anni di una persona. Mentre la quantità di acqua necessaria alla produzione di un paio di jeans, invece, è equivalente al fabbisogno di acqua per 100 giorni di vita di una persona che vive in occidente e di un anno di una persona che vive nel sud Sahara

Lo smaltimento di tutte le sostanze tossiche con cui vengono trattati i capi di abbigliamento cuasa un enorme danno ecologico. Molte fabbriche espellono le acque inquinate nelle risorse idriche naturali avvelenando fiumi, mari e acque sotterranee. Il 20% dell’inquinamento delle risorse idriche mondiali dipende dall’industria della moda.

L’ utilizzo dei prodotti chimici è responsabile per il 20% dell’inquinamento delle acque e delle emissioni di gas nocivi nell’aria.

Per la coltivazione del cotone si utilizzano un quarto dei pesticidi prodotti in tutto il mondo, utilizzati per la maggior parte in dose elevate e senza protezioni.

Lo sfruttamento del suolo e il processo di perdita della biodiversità sono direttamente proporzionali alla crescita del settore della moda. Dai campi di cotone ai campi di allevamento di bestiame per la realizzazione del pellame.

L’utilizzo di combustibili fossili per l’industria della moda è quasi completamente dipendente.  Metà dei danni ecologici prodotti dalla produzione di jeans sono collegati al trasporto, l’altra metà alla raccolta del cotone. Basti pensare che la produzione di un paio di jeans si estende per 4 continenti e le varie componentistiche con cui viene realizzato un jeans possono viaggiare fino a 65.000 km.

Più del 90% dei lavoratori secondo “IndustriAll global union” non ha la possibilità di negoziare il proprio salario e le proprie condizioni di lavoro. Dalle indagini condotte dal movimento internazionale Fashion revolution emerge come in Guandong, in Cina, le giovani donne svolgono fino a 150 ore mensili di straordinari, il 60% di loro non ha un contratto ed il 90% non ha accesso alla previdenza sociale. In Bangladesh i lavoratori che realizzano indumenti guadagnano 44 dollari al mese (a fronte di un salario minimo pari a 109 dollari). L’80% dei lavoratori del tessile sono donne fra i 18 ed i 24 anni. Molte di loro sono sottoposte a ripetuti abusi fisici e verbali, lavorano in condizioni non sicure senza alcuna assistenza sanitaria e con salari bassissimi.

Ecco cosa si nasconde dietra la produzione dei nostri vestiti! L’indignazione di una società che fa finta di non vedere, ma oggi qualcosa sta cambiando grazie al movimento Fashion Revolution, nato dopo il crollo dell’edificio Rana Plaza in Bangladesh che ha causato la morte di almeno 1134 persone e ferito altri 2500. La maggior parte delle vittime erano giovani donne che creavano abiti per alcuni dei più grandi marchi di moda del mondo.
Con una grande voce il movimento globale della Fashion Revolution dice Basta! Chiedendo giustizia ed equità nei confronti dei lavoratori dell’industria tessile di tutto il mondo, cercando di creare fliere etiche, giuste e trasparenti.

Indossiamo la rivoluzione acquistando con responsabilità sociale e ambientale!

Quindi Who Made My Clothes?

 

 

 

#FashionRevolution #whomademyclothes #TradeFairLiveFair

Fonte dati:

Italy

https://asvis.it/goal12/articoli/461-5207/lindustria-della-moda-ed-il-difficile-raggiungimento-degli-obiettivi-di-sviluppo-sostenibile